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"La prima Guerra Civile" - l'ultimo libro di Gianni Oliva al Circolo dei Lettori di Torino

Oggi esce in libreria La prima guerra civile. Rivolte e repressione nel Mezzogiorno dopo l’unità d’Italia, il nuovo libro dello storico Gianni Oliva, insieme a una recensione di Giovanni Firera

Il saggio sarà presentato il 29 ottobre al Circolo dei Lettori di Torino a cura dell'Associazione Culturale Vitaliano Brancati e in collaborazione con Il Quadrato della Cultura. Media Partner ADI - Agenzia Digitale Italiana.  

Con la sua consueta capacità di intrecciare rigore e narrazione, l'autore ci guida dentro uno dei capitoli più controversi e spesso dimenticati della nostra storia: il brigantaggio post-unitario, una guerra interna che esplose subito dopo la nascita dell’Italia unita nel 1861.




Per chi non conoscesse questi eventi, basti pensare che, mentre nelle scuole si racconta un Risorgimento fatto di eroi, battaglie gloriose e ideali di libertà, dietro quella facciata si nascondeva un Paese spaccato in due: il Nord industriale e ambizioso, il Sud povero e disilluso.

Proprio lì, nelle campagne meridionali, migliaia di contadini, ex soldati borbonici e ribelli imbracciarono le armi contro il nuovo Stato, convinti di essere stati traditi. Il governo rispose con durezza, inviando l’esercito e imponendo leggi speciali: una repressione che lasciò ferite profonde, ancora oggi percepibili.

Il saggio di Oliva – documentato, incisivo e appassionante – ricostruisce questa “prima guerra civile italiana”, rivelando la complessità di un momento in cui la neonata nazione rischiò di implodere. Non si tratta di una polemica, ma di un viaggio nella verità storica, tra idealismo e sangue, progresso e ingiustizia.


Immaginate un'Italia appena nata

Un mosaico di terre cucite con fili di sangue e ambizione

Un mosaico di terre cucite con fili di sangue e ambizione, dove il primo re si chiama già "secondo". Vittorio Emanuele II, erede di un paradosso sabaudo, sale al trono di una nazione che pulsa di fervore risorgimentale.

Ma dietro le fanfare di Teano, dove Garibaldi consegna il Sud al monarca, si annida un dramma oscuro: il brigantaggio post-unitario, una polveriera sociale che minaccia di far saltare l'intero edificio.

È questo il cuore pulsante del testo che recensiamo: un saggio magistrale che smonta la vulgata nazionale del Risorgimento come trionfo lineare, rivelando invece le crepe profonde di un'unificazione sbilanciata e repressiva.


Il contesto storico e politico

L'autore – o meglio, il coro di voci storiche che riecheggia in queste pagine – ci immerge in un contesto affascinante:

  • l’economia nascente del Nord anela ai mercati meridionali,
  • una classe media ambiziosa guida il processo,
  • e le idee romantiche di nazione forgiano un sogno collettivo.

Eppure, la rapidità dell'unificazione – da Plombières a Teano in un turbine di diplomazia e camicie rosse – coglie tutti impreparati.

Cavour, il ragno tessitore, immagina un’Italia centro-settentrionale egemonica; Garibaldi, invece, irrompe come un ciclone, sconfiggendo i Borboni e spalancando le porte a una rivoluzione democratica che spaventa i moderati.

Il risultato? Un Sud in ebollizione:
renitenti alla leva, ex soldati borbonici, contadini delusi dalle promesse di terra, e “capibanda” leggendari come Carmine Crocco “Donatelli” o Ninco Nanco, che diventano spettri di ribellione.

Non è solo banditismo, ma una guerra civile intestina, intreccio di criminalità endemica, malcontento sociale e complotti legittimisti – con la Francia di Napoleone III a pescare nel torbido per difendere il Papa.


Il cuore del dramma: la Commissione d'inchiesta del 1863

Il clou narrativo è la Commissione d'inchiesta del 1863, un viaggio surreale nel cuore nero del Mezzogiorno.

Presieduta da Giuseppe Sirtori, garibaldino doc, e con un cast eterogeneo – da mazziniani come Aurelio Saffi a moderati come Giuseppe Massari – la delegazione piomba a Napoli come un’invasione amichevole, scortata dal “vero re di Napoli”, Alfonso La Marmora.

Attraversano IrpiniaBasilicata e Capitanata, raccogliendo lamenti di notabili e proprietari terrorizzati, ma ignorando deliberatamente i contadini, i pastori, i manutengoli.

La relazione finale di Massari, capolavoro di equilibrismo politico, pone la domanda fatidica:

Il brigantaggio è frutto del “cambiamento” unitario o solo un’occasione per un male antico?

Risposta ambigua, che smussa spigoli per non scontentare nessuno, ma che accelera la svolta repressiva: la legge Pica del 1863, con tribunali militari ed esecuzioni sommarie, trasforma il Sud in un campo di battaglia, con oltre centomila uomini in armi a soffocare la “polveriera”.


Interpretazioni e riflessioni

Il testo eccelle nel decostruire interpretazioni:
dal bandito sociale marxista a visioni politiche come quelle di Salvatore Lupo o Carmine Pinto, che lo leggono come scontro tra progetti nazionali – costituzionale sabaudo contro assolutismo borbonico.

Sfida i pregiudizi nordici (“il Mezzogiorno è un vaioloso”, tuonava d’Azeglio) e la demonizzazione liberale, rivelando un Risorgimento “settentrionale” che sacrifica il Sud sull’altare dell’unità.

Eppure, emerge una lucidità amara: lo Stato unitario, fragile di fronte a Francia e Austria, sceglie la forza per legittimarsi, pagando il prezzo di una memoria distorta.

Accattivante come un romanzo storico, questo saggio non è mera erudizione: è un invito a ripensare l’Italia, tra glorie dimenticate e ferite aperte.

In 400 pagine di densità (qui condensate), ci si perde in un labirinto di nomi e date, ma si riemerge con una domanda bruciante:

L’unità fu davvero un progresso, o il seme di divisioni eterne?

Imperdibile per chi ama la storia viva, quella che morde e non si dimentica.


Leggi la  RECENSIONE DI GIOVANNI FIRERA 



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